Meloni sotto accusa anche per la strage. "Una delle pagine più buie della storia"

Scritto il 03/08/2025
da Pier Francesco Borgia

Trascinata nella polemica sulla matrice nera, anche se nel 1980 aveva tre anni

"Il 2 agosto di 45 anni fa il popolo italiano ha vissuto una delle pagine più buie della sua storia. Il terrorismo ha colpito con tutta la sua ferocia la città di Bologna, con un attentato che ha disintegrato la stazione, uccidendo 85 persone e ferendone oltre duecento. Oggi ci stringiamo ai familiari delle vittime e a tutti i bolognesi, e ci uniamo al loro dolore e alla loro richiesta di giustizia. Il governo continuerà a fare la sua parte in questo percorso per arrivare alla piena verità sulle stragi che hanno sconvolto la Nazione nel secondo Dopoguerra, a partire dall'impegno portato avanti insieme alle altre amministrazioni competenti per il versamento degli atti declassificati all'Archivio centrale dello Stato, in un clima di collaborazione con le associazioni dei famigliari delle vittime". Giorgia Meloni, nel giorno della commemorazione della strage del 1980, usa un tono sobrio e istituzionale. Eppure, anche quest'anno, come puntualmente accade da quando è diventata presidente del Consiglio, viene trascinata dall'opposizione dentro un dibattito sulla sua presunta "ambiguità" rispetto alla matrice nera della strage. Un grande classico della strategia comunicativa della sinistra italiana che reputa evidentemente produttivo dal punto di vista elettorale il costante ripiegamento sulle suggestioni nostalgiche. E poco importa che Giorgia Meloni nel 1980 avesse tre anni. Lo scorso anno Meloni aveva risposto con fermezza: "Sostenere che le radici di quell'attentato oggi figurano a pieno titolo nella destra di governo, o che la riforma della giustizia sia ispirata dalla P2, è molto grave. E pericoloso, anche per l'incolumità personale di chi, democraticamente eletto dai cittadini, cerca solo di fare del suo meglio per il bene della nazione". E a chi continua a cercare tra le pieghe del suo linguaggio qualche eco nostalgica, Meloni aveva replicato ancora più chiaramente: "Se qualcuno pensa di poter, sotto le nostre insegne, avere comportamenti che consentano alla sinistra di dipingerci come nostalgici da operetta, sappia che ha sbagliato casa". Dichiarazioni inequivocabili. Ma evidentemente non bastano mai.

Basta vedere quanto accaduto appena due settimane fa, dopo un atto vandalico ai danni del monumento dedicato a Giacomo Matteotti, martire del fascismo, sul Lungotevere Arnaldo da Brescia. Nessuna rivendicazione politica. Ma immediatamente, come da copione, era partito il balletto delle "distanze" da prendere, delle "condanne nette" da esibire. Un riflesso condizionato che risponde alla perenne logica dello sventolare strumentalmente un pericolo che si sa perfettamente che non potrà mai prendere forma, con l'idea di trasformare la democrazia in un recinto ristretto, nella proprietà privata di chi vorrebbe decidere chi è legittimato a governare e chi no.

In questo schema, ogni vittoria del centrodestra è sempre sospetta, ogni decisione autoritaria, ogni riforma una "deriva", con il presidente dell'Associazione dei familiari della strage che decide di criticare la separazione delle carriere ricordando che era nel piano della P2. Una retorica quella dell' "allarme democratico" - agitata sostanzialmente durante tutte le elezioni politiche degli ultimi trent'anni - che finisce per diseducare l'opinione pubblica e svilire le stesse istituzioni che si pretende di difendere, rifiutando la realtà di una democrazia matura.